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Dal 24 al 29 novembre 2019 alla Quadreria Bovara Reina di Malgrate, mostra itinerante contro gli stereotipi che colpevolizzano le donne vittime di stupro.

Mostra "Com'eri Vestita?" di Telefono Donna Lecco 2019Inaugurazione: domenica 24 novembre 2019 ore 17.

La mostra è allestita - anche con personalizzazioni - dalla classe 5^ D del Liceo Artistico Medardo Rosso di Lecco.

Letture, con musica dal vivo, a cura di Francesca Corti.

I vestiti esposti rappresentano simbolicamente quelli indossati durante la violenza subita e sono accompagnati da brevi suggestioni che le donne
hanno voluto condividere, raccontando alcuni elementi della loro esperienza.

La mostra è visitabile da lunedì 25 a venerdì 29 novembre 2019, dalle 16 alle 18.30; al mattino per gruppi, su prenotazione al n. 388 8715441.

Ingresso libero.

L'iniziativa è organizzata da Telefono Donna Onlus di Lecco, con il patrocinio dei Comuni di Lecco e Malgrate.

 

Il  significato  della  mostra 

Com'eri vestita?
What were you wearing?

Telefono Donna Lecco Onlus, con sede in Lecco, dal 1988 si occupa di maltrattamento e/o violenza sulle donne. Fa parte della rete Antiviolenza attualmente coordinata dal Comune di Lecco. E stata promotrice nel 2008, insieme ad altre associazioni, della costituzione di tale Rete rivolgendo la proposta alla Provincia di Lecco che ne ha deliberato la costituzione.
Ogni anno, come consuetudine, Telefono Donna Lecco organizza iniziative che rimarchino l'importanza del tema che ogni giorni l'associazione affronta accogliendo nella propria sede donne vittime di violenza, con le quali stabilisce un percorso per l'uscita dalla situazione di violenza.
Quest'anno la scelta è caduta sulla realizazione anche nel territorio lecchese di una mostra che affronta il tema della violenza sessuale e degli stereotipi che ancora oggi permangono colpevolizzando le donne vittime di tale violenza.

La mostra prende avvio da un progetto di Jen Brockman, direttore del centro di educazione contro gli stupri dell'università dell'Arkansas, dove questa mostra è stata esposta per la prima volta nella primavera del 2013.
Questa installazione è arrivata in Italia tramite l'associazione Libere Sinergie che ne propone la diffusione, nell'intento dj smantellare gli stereotipi che colpevolizzano le vittime. Questa associazione ha portato la mostra in diversi luoghi d'Italia ricevendo il Patrocinio del Dipartimento Pari Opportunità e della Presidenza del Consiglio.

L'idea alla base di questa installazione è  sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne partendo da una domanda ricorrente posta a chi subisce molestie o violenza sessuale: Com'eri vestita? domanda che sottende importanti stereotipi sessisti, possiede pesanti implicazioni di impatto negativo sulla donna che ha subito violenza, perché presuppone l'idea che la vittima avrebbe potuto evitare lo stupro se solo avesse indossato abiti meno provocanti.

Questa mostra si propone quindi di smantellare tale pregiudizio partendo dal breve racconto di una serie di storie (precisamente 17) di abusi poste accanto agli abiti in esposizione i quali intendono rappresentare, in maniera fedele, l'abbigliamento che la vittima indossava nel momento della violenza subita.

Recensione (Edizioni La Meridiana - Molfetta)

In mostra gli abiti indossati dalle donne nel momento in cui sono state stuprate o ammazzate: tute, camicioni, felpe, divise da lavoro.
Visitare la mostra è un viaggio nella morte che per mano di qualcuno che in una tua giornata qualunque decide di te perchè accecato di sé.  
Ognuno degli abiti esposti  rende muta la domanda sul perché sia accaduto e accada ancora.
Com’eri vestita? Che cosa hai fatto? Cosa  hai detto? Sei certa che? Perché eri lì? Perché lo hai lasciato? Perché non sei rimasta con lui? Perché non lo hai denunciato prima? Ognuna di queste domande dice con chiarezza l’idea, dura a morire, che un po’ di colpa appartenga alla vittima in quanto donna.

Non si è depotenziata con gli anni l’idea che l’amare non è questione di proprietà. Sono ancora così troppe le donne ammazzate in nome dell’amore, che forse dobbiamo chiederci che fine abbiamo fatto fare  all’idea di cosa sia l’amore. Che pensiero e agito abbiamo  socialmente nutrito dell’amore ‘ch’al cor gentil ratto s’apprende’. Se dentro di noi è una corda che stringe o una rete che tiene, un legame che nutre la coppia o uno solo della coppia. Un essere insieme trovando di continuo l’equilibrio del noi non dell’io e del tu.
Allora non è come si vestono le donne il problema ma l’idea che amare sia prendere, avere, possedere, consumare. Ecco perchè il corpo delle donne, non il vestito che indossano, resta  il tema tabù da affrontare per educarci all’amore che non uccide.
Quale idea di amore nutriamo socialmente ci rende colpevoli tutti di fronte a una donna ammazzata.
E ricordarci che uccidere non è un gesto d’amore, nemmeno di troppo amore,  ma sempre un reato ci aiuterebbe a fare le domande giuste. E ‘Com’ eri vestita?’ è una domanda sbagliata.